DANZARE OLTRE AL FESTIVAL PULSI 2011

 

 

Quel che conta è il semplice passo
Ogni settore artistico ha i suoi outsider: se davvero illuminati, sanno e possono dire ciò che ad altri è precluso. Il caso dell’ottantenne Dominique Dupuy, “nobile dilettante”, come è stato definito, è emblematico. Padre fondatore, nientemeno, della danza moderna francese autoctona, per aver fondato, nel 1955, i Ballets Modernes de Paris (dopo un severo apprendistato con l’espressionista tedesco Jean Weidt e l’americano Jerome Andrews), dagli anni Ottanta, il parigino Dupuy si è auto – nascosto nelle retrovie di una ricerca considerata anacronistica, perché nomade e poco visibile a teatro. Ha tuttavia continuato a rimuginare sul senso e la peculiarità dell’essere un danzatore, sull’opera coreografica, sul rapporto con allievi e pubblico. E è diventato, con inseparabile moglie-musa Françoise, più che maestro, guru di generazioni di danzatori contemporanei. Oggi svela la lungimiranza del suo pensiero in Danzare oltre – Scritti per la danza; la raccolta di vari interventi, amorevolmente tradotta dal francese, vanta una scrittura zampillante. Dupuy difende a spada tratta il ruolo del danzatore, identificato con la sua stesa danza, e spesso schiacciato da un “coreografo-re” che non lo riconoscerebbe come mediatore indispensabile, conduttore di energia, pensiero… Sostiene la necessità di raggiungere un corpo “vuoto”, in grado di ascoltare con la pelle (“l’orecchio del danzatore”) anche lo spazio che lo circonda. In molti capitoli del testo, che raccoglie oltre a un dvd, anche testimonianze di danzatori connazionali, l’autore si sofferma sul tempo e l’istante, sull’importanza del respiro (“alchimia del soffio”), sul corpo “meravigliato” e su quello del maestro “principe dei dilettanti”, poiché “come maestro all’opera ma senza l’opera (ossia senza testo, musica, o altra stampella ndr) apprende da se stesso e dagli altri”. Riservando una speciale importanza ai cinque sensi, al silenzio, a un artigianato refrattario alla tecnologia (video, registratore), per una ecologia sensoriale che eviti “consumazioni passive”, Dupuy punta all’essenza pura della danza (“arte del pensiero”) agita e osservata, con un elogio smisurato del camminare e del semplice passo. “mi piace, del passo, la sua capacità di dare e ridare senso alla nostra relazione con la terra e con il tempo… mi piace che ci porti a compiere i due atti maggiori della nostra arte: entrare in scena e uscirne”. Come dire nascere e morire, possibilmente tardi… e oggi si danza sino a tarda età. Come? Il giocoliere Dupuy, che maneggia con cura Deridda, Jean Luc Nancy, Bachelard, Artaud e il prediletto Valéry, ha una risposta meravigliosa: “Indossando l’estenuazione, l’erosione e il proprio invecchiamento”.